Diventare adulti significa perdersi in confortanti e ripetitive abitudini? E’ questo il messaggio che offre lo spunto narrativo per L’appartamento, romanzo breve scritto da Mario Capello e ambientato nella provincia torinese. Il protagonista è Angelo, un trentenne che, come molti della sua generazione, si è trasferito in città per inseguire il sogno di un lavoro creativo.
La fine del matrimonio è l’evento luttuoso che porta Angelo a riconsiderare tutta la sua esistenza, prendendo la decisione di trasferirsi dalla città alla provincia per stare vicino alla ex-moglie e al figlio, e cambiando totalmente lavoro. Angelo diventa un agente immobiliare, il mestiere più anonimo e normalizzante del mondo, rifugge tutta la sua passione per l’ambiente editoriale di cui aveva fatto parte, precariamente, sinora.
«A casa mi aspettavano, immersi nell’acqua untuosa del lavello, i piatti del giorno prima. Poi avrei guardato un film, aspettando il sonno, nella mia casa vuota. E il giorno dopo, al termine di un’attesa di anni, avrei saputo cosa aspettarmi»
Angelo si sente inadeguato, sia come padre che come figlio, in quell’età di mezzo che sono diventati i thirty, perché nella maggior parte dei casi non sei ancora padre, nel ruolo, ma non sei più nemmeno figlio. La normalizzazione è il suo viatico per diventare adulto. Eppure, anche nel dimenticatoio della noia, il tentativo forzoso di Angelo incontra difficoltà. Non è semplice lasciarsi tutto alle spalle, se la passione chiama, e si manifesta nei panni di Ferrero, un potenziale acquirente di un appartamento, che da modello ideale di adulto, mirato e rimirato, si trasforma in tentatore, affidandogli un suo manoscritto.
La prosa de L’appartamento è essenziale ma riesce a raccontare i luoghi che rappresenta, vivi e vividi, co-protagonisti della storia. L’intero epilogo è sorprendente, ma solo superficialmente può apparire come un cambio di registro narrativo, e non è auto-assolutorio.