La casa bruciata

Dopo alcuni anni di lavoro come consulente precario, Mauro venne assunto a tempo indeterminato. Per l’italiano medio, si tratta del momento in cui si abbandona l’affitto o i genitori per diventare proprietari d’immobile. Per il romano medio la questione si complica: bisogna anche scegliere in che quartiere vivere, in base al reddito, ai vincoli lavorativi e famigliari. I romani difficilmente abbandonano il proprio quadrante. Chi è di Roma Nord, resta nei paraggi di Roma Nord, così quelli di Roma Sud o Roma Est. E quelli di Roma Ovest? Roma Ovest non è mai esistita, è finita a Portaportese e nessuno l’ha mai chiamata così.

Un giorno di marzo, Mauro scelse di andare a vivere a Malafede. Prese la decisione così, di punto in bianco, senza consultare nessuno. D’altronde, cosa gli avrebbero potuto rinfacciare gli amici? Quelli che si erano dovuti comprare la casa, avevano acceso mutui trentennali per andare a finire a Ponte di Nona o a Tor Vergata. Non erano nella posizione per criticarlo. Quanto ai genitori, loro abitavano dalle parti della Cecchignola, in uno di quei palazzoni a dodici piani risalenti agli anni Sessanta, per cui una zona fuori dal GRA ne valeva un’altra.

Dubbi ve ne sono tanti, quando si pensa a Malafede. E’ brutto anche solo il nome, derivato da lontane ere medievali, che lascia presagire sventura o raggiro. Via di Malafede collega l’Ostiense a Castel Porziano, tagliando trasversalmente la Cristoforo Colombo. E’ una lunga strada che attraversa ex-paludi bonificate e pinete, e l’unico quartiere residenziale è di recente costruzione, nato poco dopo il Giubileo per mano di Caltagirone. Quasi nascosto, incastrato tra Acilia e Vitinia, è raggiungibile soltanto attraverso l’omonima via, il che implica, ogni mattina, un’abbondante minutaggio di fila ai semafori d’incrocio.

Perché andare a finire proprio a Malafede? Mauro non aveva moltissimi argomenti a sua difesa, sebbene nessuno lo stesse attaccando, ma citava sempre gli stessi: supermercati e asili nido. A differenza di altri neo-quartieri nati negli ultimi anni, a Malafede si poteva andare a piedi a fare la spesa, e le scuole materne erano nate all’unisono del centro abitato. Quasi un messaggio di speranza per il futuro della cittadinanza, no?

Le case a Malafede, comunque, non costavano poco. Non meno delle omologhe in zone più centrali dell’hinterland capitolino. Mauro doveva fare i conti con il bilancino, rispetto al suo budget: avrebbe dovuto farsi bastare i soldi, al netto del mutuo, anche per comprarsi i mobili. C’è da dire che a Malafede le case le davano rifinite, luminose, dagli spazi ottimizzati e dai terrazzi abitabili. Che in sintesi significa che erano dei bilocali risicatissimi con i soffitti di due metri e settanta, e d’inverno che ci fai con il terrazzo? Ci stendi soltanto i panni. Gli immobili erano dotati anche di box auto di pertinenza, perché i costruttori avevano ottenuto agevolazioni e sgravi fiscali nel costruirli. Comunque, nulla di diverso da altri quartieri extra-GRA.

Occasione, vero affare! Piano alto, salone, angolo cottura, camera, servizio, ampio balcone e box auto.

Il sito d’annunci non stava esagerando. Quella casa costava i due terzi del prezzo di tutte le altre dello stesso taglio, in zona. Mauro si affrettò a prenotare un appuntamento. Era talmente esaltato che convinse anche i suoi ad accompagnarlo nella visita. L’agente immobiliare li aspettava davanti alla palazzina, uguale a tutte le altre, in una delle strade intitolate ad attori e cantanti italiani che caratterizzavano il comprensorio. Davanti all’edificio, sorgeva un asilo nido.

“Hai visto che comoda, la scuola materna davanti a casa?”

“Prima dovresti pensare a trovarti una donna fissa, Mauro…e poi se farete un figlio dovrete cambiare immobile. Qui in tre non c’entrereste più, a meno di mettere il bambino in garage, chiaro!” Sua madre aveva sempre una buona parola su tutto.

L’agente era il tipico entusiasta per contratto, un ventenne che si portava ancora dietro i segni dell’acne adolescenziale, e che pareva essere appena uscito dagli studi. Gli studi da agente immobiliare, quelli per prendere l’abilitazione.

“Mi raccomando, ora non v’impressionate…” Non fecero in tempo a capire a cosa si stesse riferendo. Aperta la porta d’ingresso, vennero tutti travolti da un tanfo acre e soffocante. Odore di fumo. No, troppo forte. Odore di bruciato. I muri, tappezzati dalla carta da parati, erano trasfigurati da enormi aloni che sfumavano dal giallo verso il nero. Sua madre corse verso il balcone, tossendo senza soluzione di continuità. L’agente si era affrettato a spalancare tutte le porte e le finestre.

“Ma cos’è?” L’agente se lo doveva sentir dire spesso.

“Cominciamo a dire cosa non è. Non è il risultato di un incendio. So che faticate a credermi, ma è così. Semplicemente, il proprietario è una persona anziana, un accanito fumatore che bruciava interi pacchetti senza aprire le finestre, e questi sono i segni che ha lasciato all’appartamento.”

La madre di Mauro era allibita. “Ma è morto?”

“No, signora. Sta meglio di lei e di me.” Come credergli?

“La casa però sta malissimo. Non si può immaginare che abbia appena dieci anni.”

L’agente provò a far la sua parte fino in fondo.

“Questa casa non dovete vederla com’è adesso, ma immaginarla come sarà. Con una ripulita torna come nuova, e a quel prezzo non troverete nulla di simile. Se potessi prendere il mutuo me la comprerei io, ve lo giuro!”

Dato che non dovevano vederlo com’era in quel momento, diedero un’occhiata assai sfuggente all’intero appartamento. L’aria era irrespirabile, le dimensioni esigue, pertanto se ne andarono presto.

“Non vorrai mica comprarti quel cerino bruciato?”

Suo padre era di poche, ma ficcanti, parole. Da quando aveva smesso di fumare si era imbolsito, ma sembrava più serafico e meno ansioso.

“Papà, hai visto il prezzo? Anche calcolando una decina di migliaia di euro di spese per ripulirlo, avrei soldi a sufficienza per comprarmi dei bei mobili, non il solito Pax dell’IKEA!”

“Fa come credi, ma io ti ho avvertito…”

Mauro acquistò l’appartamento. La banca concesse il mutuo all’80% del prezzo d’acquisto, il perito non fece storie sullo stato dell’immobile perché il prezzo al metro quadro era assai inferiore alle tabelle dell’Agenzia del Territorio. Aveva quindi una buona cifra in contanti per ripristinare l’appartamento e arredarlo. Con suo padre che si era chiamato fuori sdegnato, Mauro non poté che rivolgersi allo zio Gianni.

“Lascia perdere i tuoi, hai fatto un buon investimento! Fosse per loro, le case dovrebbero essere subito bell’e pronte, chiavi in mano!”

Zio Gianni era l’affarista immobiliare della famiglia. Negli anni Ottanta aveva sfruttato un’eredità inattesa da parte della moglie, investendo su un paio di appartamenti al Portuense che a distanza di qualche anno avevano triplicato il loro valore. Robusto e tracotante nei modi, era il guru delle ristrutturazioni e seguiva in prima persona i lavori.

“Figliolo, con i materiali di oggi, basti tu e un rumeno e ti rifai la casa nuova!”

Il rumeno di fiducia di zio Gianni si chiamava Mircea, ed era venuto in Italia da ragazzino, dopo la caduta del regime di Ceausescu. Era scuro come la pece e dagli occhi schietti. Mircea veniva pagato in nero, e aveva tariffe modiche. Zio Gianni diede a Mauro la lista dei materiali da acquistare, e il neo-proprietario andò in missione assieme a Mircea. La missione doveva essere svolta in uno dei punti-vendita di Leroy Merlin.

Leroy-Merlin è il tipico non-luogo degli anni Zero dove il tempo sembra fermarsi, o almeno così devono pensare i tanti pensionati che vi passeggiano per ore, senza meta e senza scopo. Quando un pensionato esce dal negozio con un singolo acquisto, potete star certi che si tratta di qualcosa comprato per rimorso: il rimorso di aver perso tempo, per nulla. Una sera il padre di Mauro tornò a casa con un raccogli-foglie, e loro non avevano un giardino. “Può sempre tornare utile”. La madre non disse nulla, perché tutte le mogli amano Leroy-Merlin per la capacità con cui toglie i mariti dai piedi per intere giornate.

Dopo una mezzora passata a scegliere pennelli e rulli con Mircea, Mauro si era già stancato. Dovevano rintracciare un commesso per ordinare i bidoni con la tintura, ma un commesso di Leroy Merlin è una specie rara e ricercata, puoi vederli assediati di richieste dietro al loro bancone oppure vagare ciondoloni lungo i corridoi, e provare a placcarli con la tua esigenza. L’importante è bloccare quello giusto, perché ogni commesso di Leroy Merlin conosce soltanto la sua sezione, se gli chiedi altro può guardarti in un modo così spaesato che ti viene voglia di portartelo a casa e dargli un pasto caldo.

“Senta, mi servivano tre badili grandi di tintura. Il colore è giallo pastello, ocra tenue.”

“Che codice?”

“Codice?” Mauro non capiva, ma Mircea prese un librone e glielo aprì davanti.

“Signor Mauro, devi scegliere il campione di colore e poi dare il codice al commesso. Così lui lo mette nella macchina e ti prepara la tintura…”

Un’ottima soluzione per velocizzare il servizio, e per non discriminare i commessi daltonici.

Una brutta sorpresa li accolse quando iniziarono a togliere la carta da parati bruciata. Mircea scuoteva la testa, in piedi sulla scala.

“Ahi ahi ahi…il fumo s’è mangiato tutto!”

“Che intendi?”

Intendeva dire che il fumo non s’era limitato a impregnare la carta, ma era penetrato anche nelle mura. Anche zio Gianni, di solito accomodante, fu irremovibile. Andavano aperte le pareti e ristuccato il tutto. Per un’attività del genere non bastava un rumeno di fiducia, ce ne volevano tre: Gheorghe e Florian vennero ad aggiungersi a Mircea, e a Mauro toccò un’altra gita a Leroy Merlin, reparto edilizia.

Questa volta Mauro ebbe l’onore di parlare con un esperto di settore, praticamente un capo-reparto. I capi-reparto di Leroy Merlin si distinguono per un paio di caratteristiche salienti: indossano la cravatta sulla consueta camicia verdolina, e sono laureati. Il tipo di laurea non è significativo, è l’azienda a formarti per un percorso manageriale ricco di soddisfazioni. Insomma, se sei un laureato in filosofia puoi comunque ambire a dirigere il reparto sanitari, gli anni di pensatoio non saranno stati buttati invano.

“Mi sa dire quali sono i migliori prodotti per lo stucco?”

Il tizio sorrise. “Più spende, migliore è il prodotto.”

“Quindi questa marca che costa meno delle altre è scadente?”

“Nessuna marca venduta da noi è scadente, signore. E’ chiaro che le differenze insorgono in termini di longevità…”

Mauro finì per comprare i prodotti più costosi, e li pagò un occhio della testa. Chissà quanti ne vendevano, di quelli economici, dopo discorsetti del genere. Magari la gente si poneva molte meno domande, e viveva più serena.

“Come lo facciamo, lo stucco?” La sera, Mauro trovava sempre zio Gianni in compagnia dei rumeni, quando faceva una capatina dopo il lavoro. S’interessava come se fosse la sua, ma i soldi li metteva il nipote.

“Che intendi, zio?”

“Adesso va molto di moda lo stucco veneziano…è un procedimento un po’ articolato, ma che esteticamente non conosce eguali, poi con il bel tono di tinta che hai scelto…”

“E’ costoso?”

Zio Gianni minimizzò con lo sguardo. “Eh, un po’…ma già che ci siamo, figliolo…è qualcosa che ti resta.”

Mauro acconsentì, lasciando suo zio e i manovali dietro la porta d’ingresso. In quello stesso momento, dall’appartamento attiguo, era uscito un uomo, suo coetaneo o giù di lì, rasato e dinoccolato. Sapeva che i vicini di casa erano una giovane famigliola di tre persone, con il bambino di appena due anni.

“Sei tu il nuovo proprietario?”

“Sì, piacere Mauro.”

“Piacere un corno! Sono un paio di settimane che arriva una puzza di fumo nauseante dal tuo balcone. Io ci ho un bimbo piccolo, me lo vuoi intossicare?”

Mauro era allibito. “Stiamo semplicemente ripulendo l’appartamento…”

L’altro alzò l’indice verso di lui. “Senti, patti chiari e amicizia lunga. Già il vecchio era bello molesto, e gliene ho dovute cantare quattro per fargli chiudere le finestre quando si metteva a fumare…non voglio ripetere l’esperienza!” E se ne andò, scendendo le scale a due a due. Non proprio il migliore degli approcci, ma Mauro aveva già messo una pietra sopra la vivibilità del quartiere. A Malafede ci si va soltanto a dormire.

Man mano che le settimane passavano, i costi lievitavano. Il pretesto era sempre lo stesso: visto che stiamo rigirando la casa come un calzino, perché non rifarla per bene, ovvero con un allestimento superiore a quello dato dal costruttore? Furono cambiati gli infissi, sia le porte che le finestre, perché una passata di coppale non sarebbe stata sufficiente ad eliminare le parti in legno rovinate. Per lo stesso motivo, decisero di ricoprire il pavimento con dell’ottimo parquet. La sorpresa finale arrivò dal bagno: confuse tra gli aloni di fumo vi erano delle inconfondibili macchie derivanti dalle perdite del sifone. Come avevano fatto a non accorgersene? L’intero impianto venne sostituito e certificato: Florian era anche idraulico, lo si capiva dal villino all’Axa che si era comprato due anni prima.

Con un rumeno ti ripulisci casa, con tre rumeni ti ristrutturi casa, con tre rumeni ed uno zio megalomane ti ripulisci anche le tasche. Alla fine dei lavori, Mauro non aveva più un euro in banca, e dovette attendere un anno per riuscire a comprarsi i mobili, dell’IKEA, per giunta. I suoi non gli fecero pesare la prolungata presenza in casa, certo, ma il padre riprese a fumare, e ad accendersi le sigarette con i fiammiferi.

Quelli usati, spesso, li lasciava sulla scrivania di Mauro.

2 thoughts on “La casa bruciata

  1. Ho apprezzato molto il racconto così descrittivo… però bastava comprare una casa non bruciata!
    A Malafede-Giardino di Roma le case sono belle e non troppo care!
    Zona tranquilla piena di verde….mi sono appena trasferita da San Paolo
    dove ho vissuto per ben 42 anni..
    Diventata troppo Caotica e troppo Cara!

  2. Il posto più brutto che abbia mai visto quartiere dormitorio senza servizi senza niente,sporco e il verde tanto decantato è tutto secco. Veramente brutto posto

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